Esistono teorie, leggende, memorie iniziatiche e testi antichi che collocano l’“origine” dell’umanità non nelle regioni temperate o equatoriali, ma nel più inaccessibile e remoto estremo Nord del pianeta. Secondo alcune interpretazioni legate alle antiche lingue indoeuropee – in particolare al sanscrito – il primo grande continente abitato sarebbe sorto proprio nell’area polare artica, in un tempo remoto in cui il clima della Terra era completamente diverso da quello che conosciamo oggi.
Quel Nord – nelle tradizioni greche esoteriche, in quelle iraniche ed indoarie – era chiamato Hiperborea: una terra luminosa, incontaminata, “fuori dal vento del destino”, patria di uomini saggi e di una sapienza primordiale. Secondo questa visione, quel continente sarebbe poi sprofondato o comunque frammentato a seguito di sconvolgimenti planetari, lasciando sopravvivenze ultime: isole, frammenti di territori marginali, lembi di terre che oggi possiamo ritrovare nella Groenlandia, nello Spitzberg, nella Siberia artica sino all’Alaska.
Le testimonianze mitiche e tradizionali sulla civiltà del Nord
Autori moderni come René Guénon hanno ipotizzato che quasi tutte le tradizioni dell’umanità conservino, in forma simbolica, l’eco di un Centro primordiale situato al Polo Nord: un “asse” immobile attorno al quale ruota il divenire ciclico. Nelle antiche memorie vediche e avestiche è citata una “terra bianca” superiore, origine e sorgente della tradizione spirituale. In ambito celtico l’Irlanda antichissima veniva denominata “Isola dei Quattro Maestri”, quattro sovranità che ne circondavano una centrale, configurazione che richiama un simbolismo polare, assiale. Anche la tradizione greca contiene riferimenti a popoli iperborei, considerati “più antichi degli elleni” e dotati di una sapienza luminosa: popoli a cui, secondo alcuni interpreti antichi, i greci stessi si sarebbero idealmente collegati.
Dal mondo ellenico al mondo indiano, dall’Oriente all’Occidente estremo, esiste dunque una costante narrativa: i popoli sapienti vengono “dal Nord”.
Tutto questo alimenta un quesito affascinante: mito o eco di eventi reali dimenticati?
La scienza moderna: cosa può verificare, e cosa no
A questo punto è fondamentale integrare la prospettiva geologica e paleontologica, perché esiste un dato concreto che ha fornito carburante alle ipotesi iperboree: i fossili tropicali nell’Artico sono reali.
Sono state effettivamente ritrovate in Groenlandia e nelle Svalbard tracce fossili di magnolie, palme, alberi di fico, felci arborescenti, e resti di fauna compatibile con climi caldi. Questo non è mito, ma dato scientifico.
Però – qui sta la differenza fondamentale – l’Artico tropicale appartiene a epoche molto più antiche dell’apparizione dell’uomo. Stiamo parlando di decine di milioni di anni fa, periodo Paleocene-Eocene, non di 10.000 o 20.000 anni fa.
La comparsa dell’Homo sapiens, secondo la paleoantropologia moderna, è immensamente più recente. Quindi la scienza non autorizza l’idea che gruppi umani possano essere vissuti in quell’Artico tropicale. Inoltre le glaciazioni del Pleistocene, pur essendo un fenomeno violento e ciclico, non comportano un “ribaltamento dell’asse terrestre” documentabile con i dati geofisici attuali.
Detto questo – e qui è il punto filosoficamente interessante – la scienza non esclude che antichi navigatori mediterranei (greci e romani) abbiano effettivamente raggiunto, talvolta, latitudini molto più alte di quanto si credesse un tempo. Le fonti classiche lo suggeriscono: Omero pone Calipso oltre le Colonne d’Ercole, Plutarco parla di isole dove la notte dura un’ora, e in epoca imperiale esistevano contatti e commerci con popoli settentrionali non ben identificati.
È dunque possibile che alcuni miti rappresentino memorie di esplorazioni reali verso Nord… senza che ciò implichi una civiltà iperborea originaria.
Oggi, il fascino dell’Iperborea rimane intatto proprio per questa tensione:
- da una parte la memoria mitica: una patria di luce, un centro immobilmente orientato verso il cielo, un asse immutabile di conoscenza
- dall’altra la conoscenza scientifica: l’Artico è stato tropicale, sì, ma in epoche anteriori all’uomo; e non possediamo evidenze archeologiche solide di una civiltà avanzata polare nel Paleolitico o nel Neolitico.
Tra questi due poli si estende la parte più enigmatica della questione: il simbolo.
Forse la “Patria suprema” che le tradizioni vedono al Nord non è un continente storico, ma una direzione cosmica: l’orientamento all’immobile, alla verticalità, alla luce che non tramonta.
Il Nord come metafora di ciò che non cambia, mentre i cicli dell’umanità scorrono.


